ASSOCIAZIONE MEDICA

Il Punto su:

In memoria di Ciro Ciscognetti 

Ti svegli una mattina già nervoso per la giornata ingarbugliata che ti aspetta; accendi il telefonino per scaricare la segreteria telefonica per organizzarti il giro delle domiciliari e senti che sono anche arrivati dei messaggi. Ti incavoli ancora di più. Leggi il messaggio: “Ciro ci ha lasciati”. Non c’è più spazio per il nervosismo. Chiedi conferme, dettagli. Non ci vuoi credere. Cominci il giro come una trottola. Ci sono dei manifesti di lutto appena attaccati. E’ il suo. Ti fermi per leggerlo. E’ proprio vero, non è stato un brutto sogno. Ma lo rileggi meglio, c’è una frase che colpisce: “Accolto tra le braccia amorevoli del Padre, continua a vivere il Dott. Ciro Ciscognetti”.

L’amarezza, la tristezza spariscono di fronte a quella frase, una frase densa di significato, una frase che non può essere stata scritto per caso.

Eravamo poco più che fanciulli e con Ciro ho condiviso i primi passi di catechismo e di servizio all’altare: era sempre prescelto per le letture grazie al suo tono di voce e al modo – bellissimo – con cui leggeva la Sacra Scrittura. Siamo stati poi compagni di cordata nel lavoro e nella Cooperativa. Medico attento e preparato – ricordo quando presentò il Prof. Ascione epatologo! - è stato sempre un mediatore attento a salvaguardare quello che ci univa, non ha mai cavalcato la tigre della discordia o della discussione degenerante: da signore, si fermava ed invitava a fare altrettanto. La fede, il credo religioso non è un tesoro da custodire gelosamente nel silenzio del proprio io, essa si trasmette, è insopprimibile, come il profumo del pane appena sfornato! E adesso che non c’è più possiamo dire che ci manca anche quel profumo di sé!

Ma quella frase sul murales funerario, ricordando chi era l’Uomo Ciro, e ricordando quanto ho saputo delle sue sofferenze mi ha fatto pensare, meditare, riflettere. La metto a disposizione di tutti dicendo grazie a Ciro. Anche per questo.

Ciascuno di noi sa cosa è il dolore, ne ha sperimentato i vari gradi e la notevole, diversa intensità; il semplice mal di testa, un mal di denti, i dolori influenzali, i dolori del parto, i dolori postumi ad un intervento chirurgico, fino al dolore conseguenza di un male incurabile.

Poi c’è il dolore dell’anima: la tristezza, il dolore per la perdita di una persona cara, un amore finito male, il dolore per una strage….anche questo è dolore. Mentre nel primo caso comincia la ricerca spasmodica di una pillola, di una bustina, una fiala che ce lo faccia passare, nell’altro non abbiamo un farmaco, un medicamento che ci lenisca la sofferenza. In entrambi i casi, però ci chiediamo sempre, tra un accidenti e un’imprecazione, “Perché proprio a me? Perché mi è capitato?”

Non c’è nulla da fare, l’uomo è sempre proiettato al benessere, allo stare bene, a non accettare qualcosa di storto, qualcosa che non va secondo i nostri desideri.

Nei casi più gravi ce la prendiamo anche col Padreterno: “Perché non me lo eviti questo dolore?”

Eppure lo stesso Padreterno, pur potendolo evitare – lo ha chiesto con quella famosa frase “Allontana da me questo calice” – lo ha accettato e fatto suo. Ed ha sofferto atrocemente, da un punto di vista umano in conseguenza alle torture subite.

Allora cosa voglio dire? Di per sé la sofferenza è perfettamente inutile e Gesù lascia intendere che è anche orribile, insopportabile; di fronte al problema del male non fornisce una risposta razionale o teologica: compie il gesto di attraversare l’enigma del male. Accettandolo liberamente - quando non può essere evitato - egli indica al credente una maniera di accogliere il dolore inevitabile – un lutto una malattia un’angoscia – che addirittura può infondere coraggio al cuore dell’uomo, aprirlo a dimensioni inimmaginabili di comprensione, amore e compassione. In altre parole Gesù non tenta di cancellare il tragico dall’esistenza, lo assume pienamente.

Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto all’ interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo.

Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: « Seguimi! ». Vieni! prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia Croce. Man mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza. L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso, però, da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l'uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale.

In conclusione, qualunque sia la causa del nostro dolore, è giusto cercare di addolcirlo con qualche farmaco, ma quello che è importante è interpretarlo e sedimentarlo dentro di noi perché se è incomprensibile sicuramente ha una sua logica ed un suo fine…..

E Ciro lo ha accettato, lo ha fatto suo. Certamente non è stato lasciato solo. Non solo il conforto dei familiari, degli amici, dei Colleghi, sicuramente il buon Dio ha condiviso anche il suo dolore, perciò quella frase non può essere stata scritta invano….

Grazie Ciro

Antonio Ambrosanio